Renato Candida - Una grande storia umana, civile, letteraria

La casa editrice Salvatore Sciascia di Caltanissetta ha pubblicato una nuova edizione di Questa mafia, il libro del maggiore, poi generale dei Carabinieri Renato Candida, comparso per la prima volta nel 1956. L’ufficiale fu l’ispiratore della figura del capitano Bellodi, protagonista de Il giorno della civetta.

Sull’importante iniziativa editoriale pubblichiamo di seguito un articolo di Salvatore Vullo, autore della Nota introduttiva del libro.

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UNA GRANDE STORIA UMANA, CIVILE, LETTERARIA

di Salvatore Vullo

Era da tempo che Giuseppe Sciascia, titolare della casa editrice Salvatore Sciascia, anche come promessa alla famiglia di Renato Candida, desiderava realizzare la riedizione di questo libro. È riuscito a farlo, forse non a caso, in questo 2016, un anno che segna importanti ricorrenze: il 100° della nascita di Renato Candida, il 60° della pubblicazione di “Questa mafia”, il 70° della nascita della casa editrice, e un omaggio, nel 30° della morte, a suo padre, Salvatore Sciascia, straordinario personaggio che proprio nel 1946 fondò l’omonima casa editrice.
Dunque, una grande storia, anche perché si intreccia con quella dello scrittore Leonardo Sciascia che, proprio all’ufficiale dei carabinieri Renato Candida, si ispirò per il suo capitano Bellodi del romanzo “Il giorno della civetta”
“… Non solo per ‘Il giorno della civetta’, ma per ogni mio racconto in cui c’è il personaggio di un investigatore, la figura e gli intendimenti di Renato Candida, la sua esperienza, il suo agire, più o meno vagamente mi si sono presentate alla memoria, all’immaginazione …”
Con queste parole rivelatrici, a conclusione di un lungo articolo, pubblicato sul quotidiano La Stampa, l’11 novembre 1988, Leonardo Sciascia ricordava il generale dei carabinieri in pensione Renato Candida, morto il mese prima a Torino.
Dunque, era stato il generale Renato Candida ad aver ispirato Sciascia nella configurazione del suo capitano Bellodi, protagonista del suo romanzo più famoso “Il giorno della civetta”, pubblicato nel 1961. Quel capitano Bellodi che la nostra memoria individuale e collettiva collega immediatamente al volto di Franco Nero, formidabile interprete di Bellodi nel film di Damiano Damiani “Il giorno della civetta”, uscito nel 1968, e per tanti altri della mia generazione, al volto di Mario Valdemarin, capitano Bellodi nel mitico allestimento teatrale dello stabile di Catania, con il grande Turi Ferro, nella prima edizione del 1963 e in successive riprese.
Sciascia aveva conosciuto Renato Candida nel 1956, quando l’allora maggiore Candida comandava il gruppo carabinieri di Agrigento dove era stato trasferito l’anno prima da Torino.
Il maggiore Candida aveva sentito parlare del giovane scrittore di Racalmuto che già in quel 1956 aveva pubblicato “Le parrocchie di Regalpetra”, e volle incontrarlo. Espresse questo suo desiderio tramite un brigadiere dei carabinieri che lo comunicò a Sciascia. In quel momento Sciascia era in partenza per la Spagna e l’incontro venne rinviato. Ma quella richiesta mise subito e istintivamente in apprensione Sciascia; apprensioni e timori che lo accompagnarono per tutto il viaggio e fino al momento dell’incontro: egli aveva subito pensato che qualcuno si fosse sentito offeso in qualche passaggio del suo libro e lo avesse denunciato ai carabinieri. Nell’incontro che avvenne qualche settimana dopo, Sciascia fugò i suoi timori e scoprì piacevolmente che il maggiore Candida era un uomo simpatico, aperto, spiritoso e ancor più antifascista; e stava proprio in quel suo antifascismo la radice di avversione anche alla mafia. Ma la sorpresa ancora più grande fu la scoperta di un alto ufficiale dei carabinieri che non solo non aveva dubbi sull’esistenza della mafia (allora ufficialmente negata), che la combatteva, ma che ci aveva scritto un libro che intendeva pubblicare; ed era anche per questo che aveva voluto incontrare Sciascia.
Sciascia se ne interessò; lesse il manoscritto, annotò che quel materiale apportasse un notevole e immediato contributo alla conoscenza di un fenomeno, che si voleva e si diceva oscuro, se non addirittura inesistente, e lo propose all’amico editore Salvatore Sciascia di Caltanissetta con il quale collaborava.
Salvatore Sciascia, creatore e animatore di quella fucina culturale che erano la casa editrice omonima e la mitica libreria nel centralissimo Corso Umberto a Caltanissetta, senza alcun indugio e sempre con grande coraggio, lo fece subito pubblicare. In quell’autunno del 1956, pochi mesi dopo l’incontro tra Leonardo Sciascia e Candida, il libro uscì con il titolo “Questa Mafia”, nella collezione “Viaggi e studi” della casa editrice Salvatore Sciascia.
Sciascia e Candida, dal loro primo incontro diventarono subito amici; si incontravano spesso ad Agrigento e a Racalmuto; i contatti si allargarono alle rispettive famiglie.
Il libro ebbe molto successo, tanto che uscì in una seconda edizione nel 1960, in una terza edizione nel 1964 ed ancora in una quarta edizione con una presentazione-prefazione di Leonardo Sciascia. Nel 1962 il libro venne anche tradotto in portoghese per conto dell’editore Ulisseia di Lisbona.
Un successo meritato perché “Questa mafia” ruppe il silenzio sul fenomeno mafioso, di cui si parlava poco, in un’epoca in cui era tabù persino la stessa parola “mafia” che, appunto, venne platealmente sdoganata già nel titolo del libro.
Dunque, un libro coraggioso a cominciare dal titolo e ancor più per il contenuto che costituiva un vero e proprio dossier sulla mafia nei paesi dell’agrigentino, correlato a indagini e considerazioni di carattere economico e sociale sul fenomeno mafioso.
Di “Questa mafia”, Leonardo Sciascia ne fece una recensione sulla rivista “Tempo presente”, dal titolo “La mafia”: un vero e proprio piccolo saggio sulla mafia che, con lo stesso titolo, assieme ad altri saggi di Leonardo Sciascia, entrò a far parte del volume “Pirandello e la Sicilia”, pubblicato dall’editore Salvatore Sciascia nel 1961.
In questa recensione Sciascia scrive: “… il punto di vista di Candida non è quello del repressore. Quest’uomo non siciliano è venuto in Sicilia senza pregiudizi … si è trovato di fronte ad un vasto fenomeno delinquenziale e ha voluto spiegarselo da uomo, con aperta sensibilità e conseguenziale coraggio. Ha voluto dedicare il libro ai carabinieri caduti nella lotta alla delinquenza mafiosa, ma senza intenzioni manichee … la mafia è per lui un problema molto complesso …”
Da questi elementi possiamo rilevare la bravura, la volontà, le capacità dell’allora maggiore Candida, ma anche il suo stato d’animo: un ufficiale dei carabinieri, in servizio nella sua Torino che, nell’ottobre del 1955, riceve l’ordine perentorio di trasferimento ad Agrigento, luoghi lontanissimi e misconosciuti, ambienti e situazioni da “Cristo si è fermato ad Eboli”, ancor più per la sua famiglia, moglie e figli piccoli che lo devono seguire nel nuovo mondo. Ebbene, questo ufficiale, catapultato ad Agrigento, in una realtà sconosciuta, ebbe subito l’inevitabile impatto con la mafia della Sicilia centro occidentale, e da uomo integerrimo qual era, iniziò a studiarla e a combatterla, tanto che in meno di un anno, riesce ad avviare minuziose indagini sul fenomeno mafioso dei principali paesi dell’agrigentino
Ma, con la pubblicazione del libro, qualcosa cambiò nei confronti del maggiore Renato Candida, sicuramente atteggiamenti di freddezza, di diffidenza.
Insomma, quella conoscenza del fenomeno mafioso, dimostrata anche con la pubblicazione del libro, che gli doveva assicurare una lunga permanenza ad Agrigento, diventò invece la causa della sua rimozione. A tal proposito, ecco che cosa aveva detto Leonardo Sciascia.
“La pubblicazione del libro segnò l’arresto di quel tanto che si era mosso. Pare volessero subito trasferirlo. Quel maggiore dei carabinieri aveva proditoriamente affermato quel che il governo negava; ma pazientarono a tenerlo ad Agrigento ancora per circa un anno, a che non si pensasse fosse stato subito punito. E lo mandarono poi alla scuola allievi carabinieri di Torino”.
Il suo trasferimento a Torino avvenne, infatti, nel novembre 1957, dove assunse il comando di uno dei battaglioni della scuola allievi carabinieri della caserma Cernaia; un incarico, questo, che ricoprì fino al 1965, anno in cui fu messo a disposizione.
Ma i rapporti tra Sciascia e Candida non si interruppero. Si scrivevano e si incontravano tutte le volte che Sciascia era a Torino.
E a Torino si incontrarono l’ultima volta, in occasione del primo Salone del Libro, il 20 maggio 1988, durante un incontro con i lettori al caffè Platti, organizzato nell’ambito della bellissima manifestazione collaterale del Salone “Gli scrittori incontrano la città” (c’ero anch’io a quell’incontro per salutare Sciascia e dove avevo rivisto Candida che avevo conosciuto in un incontro a Torino nel 1985 con il comune editore Salvatore Sciascia).
Di quell’incontro per il Salone del libro, Sciascia ne parla nel suo articolo pubblicato su “La Stampa”, citato all’inizio di questo scritto: “…Era magrissimo, respirava con affanno, stentava a reggersi in piedi, ma seguì attento tutto l’incontro; si intrattenne poi a parlare con due o tre persone che mi avevano fatto domande sul mio atteggiamento su mafia e antimafia. E poi due mesi fa, un ultimo saluto per telefono, mi disse che per lui era finita…”
Sempre in questo articolo Sciascia dice ancora di Candida e a suo onore: “…che, pur attaccatissimo all’Arma e alla sua storia, pur ritenendola forse la più integra e incorruttibile istituzione di questo nostro paese, molto soffriva di quelle pratiche, non del tutto dimesse, per ottenere che un indiziato diventasse reo confesso. … Usava quando era in servizio arrivare di sorpresa nelle stazioni dei carabinieri che da lui dipendevano … Mi raccontava di episodi di incredibile stupidità e violenza…”
Le parole di Sciascia sono emblematiche e ci fanno dedurre le qualità e le virtù di Renato Candida, uomo e ufficiale dei carabinieri, la cui vita si intreccia con i grandi fatti storici e drammatici del nostro Paese.
Nato a Lecce il 30 settembre 1916, ufficiale di complemento nel 1936 e poi sottotenente dei carabinieri in servizio in Calabria. La seconda guerra mondiale lo coglie in servizio nel Montenegro, e qui proprio per meriti di guerra viene promosso capitano. Dopo l’8 settembre 1943, il suo rifiuto di collaborare con i tedeschi, gli procura una vita di trasferimenti coatti, prigioni, internamenti e fughe rocambolesche in una serie di itinerari che lo porteranno dal Montenegro a Trieste, a Milano e infine in Svizzera, da dove scappa dall’internamento, e trova rifugio nell’Ossola e qui, nel febbraio del 1945, inizia la sua militanza nella Resistenza, come partigiano del Comando dell’Ossola, Divisione Val Toce, Brigata Strona, fino al maggio 1945.
Renato Candida: un uomo che ha vissuto intensamente; un uomo “che ha provato e sofferto il dolore”, che sono le esperienze della vita che temprano ed esaltano il carattere degli uomini e che ne fanno la differenza, ne assegnano il valore di ciascuno.
Un elogio, dunque, all’editore Sciascia, che con questa riedizione ci fa scoprire e riscoprire un libro emblematico e interessante (su un tema purtroppo sempre di tragica attualità), nel contesto di una grande storia umana, civile, letteraria.
E un doveroso ringraziamento e saluto alla famiglia di Renato Candida: la moglie Fiorenza Marchetti e le figlie Maria Luisa, Francesca e Giuliana.