Cartella N. 7 - Natale 2001: Roberto Roversi / Nunzio Gulino: "Il Clarino"

Un (grande) uomo isola

Sciascia, un grande uomo isola, secondo la bella (giusta) definizione di Alfonso Gatto,del 1973, dedicata a Gulino, che ha schegge luminose di segni molto vicine alla scabra, e talvolta lucidissima scrittura di Sciascia (ma vedremo). La prima volta mi chiese se la signora Roversi, moglie a Orsi, capo stazione arrivato a Racalmuto, tempo prima, da Bologna, era per caso mia parente. Sì,era sorella di mio padre.

clarino_300.jpg 

Titolo: Il Clarino

Autore: Nunzio Gulino

Testo di: Roberto Roversi

Misure Lastra: cm 18,7x24,7

 


Ne trasse un sorridente auspicio per il nostro incontro e per una buona amicizia. Poi nel 1954 ebbe la buona attenzione e la grande cortesia di accogliere nella serie di libretti di poesia che si apprestava ad avviare, una mia raccoltina; che uscì affiancata a Paolini e a Romanò. Negli anni seguenti, durante i suoi viaggi sempre più frequenti verso Milano o verso Torino, spesso si fermava per un giorno o anche solo per una mezza giornata a Bologna. Ricordo, a questo proposito, che nel 1965, ritardando l’invio di un suo intervento per “Rendiconti” (la rivista che allora curavo), si scusava ma spiegava di affondare, in quel momento, oltre che nei malanni, nell’inedia; e di essere proprio a terra. Mi ci vorrebbe, precisava, un bel viaggio, lungo, spensierato, e un bel soggiorno a Bologna, città per me straordinariamente riposante. Mi lusingò molto,poi,l’aggiunta che volle dedicarmi, sostenendo che la città, in effetti, si riduceva alla mia libreria antiquaria e alla mia compagnia.
Mi scuso, per queste notazioni certamente troppo personali, se rivisito con la memoria e con i sentimenti, dopo tanto tempo, le vicende di un rapporto che mi fu caro. Ma in sintonia, e in attenta vicinanza culturale con i giovani che erano impegnati intorno alla rivista “Officina”, credo di poter dire si sentisse fin dai primi tempi. Per esempio,nel 1956, rimandandoci in redazione l’ultimo paragrafo della sua nota sulla Resistenza, precisava di non sapere se aveva saputo in qualche modo rispondere al nostro intendimento. Ho trascritto la sua ulteriore annotazione: “comunque, se lo ritenete opportuno, tagliate o aggiungete senza riserve, perché mi pare, in ogni cosa, di trovarmi d’accordo con voi e con “Officina”.

Mi chiedeva anche libri: dal catalogo che la libreria periodicamente distribuiva oppure come ricerca diretta. Ricordo che una volta chiese di ricercare per lui il volume di Solinas su la “Literatura española,siglo XX” di Pedro Salinas,edita a Mexico nel ’41, perché stava curando, con Bodini, la pubblicazione di una “biblioteca mediterranea” di poesie e saggi; e mentre il primo volume era dedicato a Cernuda,il secondo voleva che fosse dedicato a questo poeta.
Quindi un bel rapporto con Sciascia, durato quasi vent’anni, dai primi anni ’50 alla fine degli anni ’60. Per natale ci scambiavamo,beneaugurando,lui la frutta martorana,io il certosino bolognese,un dolce rustico e locale. Poi la sua progressiva notorietà e autorità,e le vicende politiche turbinose e talvolta devastanti,un poco ci separarono(naturalmente) e lentamente ci allontanarono. Ho parecchie sue lettere non solo di circostanza.
Sempre ci siamo incontrati a Bologna. Fumava come un turco(fumavamo come due turchi)ma con una sobria indolenza,senza avidità(senza avidità di fumo) come corrispondendo al fumo. Talvolta radunavo qualche amico, per il ristorante; poi,anche soli a parlare,in libreria,con la stanza via via piena,appunto,di fumo.
I primi tempi era cauto –non con me né per qualche sospetto o timidezza; ma perché –credo- fosse quello il suo modo, un po’ contratto, di perlustrare il territorio in cui si muoveva. Anche le persone intorno,naturalmente; ma poi,soprattutto,la città, le strade; quella strada; le librerie(quella libreria), la luce(quella luce).
A proposito di luce: l’occhio(l’occhiata) di Sciascia era sibillino(così a me pareva),come tendesse a raccogliere le cose, le parvenze sfumate, le ombre, dai margini della realtà o del campo visivo, per radunarle al centro e lì fermarle per un momento e dare luce e renderle,secondo un proprio avviso, luminose,magari ancor più incisive,insieme all’oggetto principale già individuato. Mi inducono a questa deduzione,e in qualche modo mi confortano,alcune sue lucide scritture in merito alla fotografia,ad esempio.
Il suo modo di guardare(direi,di far filtrare l’immagine)con gli occhi socchiusi e la testa un poco reclinata,quasi a sottrarsi a uno scontro diretto - non per impazienza,ripeto,o per qualche intima incertezza- ma proprio per esercitare, all’inverso, la pazienza del guardare e osservare e accarezzare con lo sguardo/mano, prima di dedurre, concludere un qualche personalissimo giudizio. E quel suo fumare e fumare, era come mettere(secondo me) e collocare l’obbligo della sfumatura in ogni esame diretto di una immagine; una leggerissima nebbia attraverso la quale far filtrare la luce o il riverbero dell’immagine; come a impolverarla appena un poco, insalivarne la lucentezza. Per il fastidio,o la preoccupazione,del troppo di brillantezza, di una brillantezza da riproduzione su carta patinata. Come(ancora) volesse(dovesse)alitare adagio e garbato sul vetro della finestra prima di osservare in dettaglio il panorama- o quel particolare individuato su cui indugiare o tornare a indugiare. Corrispondeva(sempre a mio parere)il suo guardare al suo parlare; che era di tonalità lineare e, benchè chiaro e preciso, di una lentezza di grande armonia, come dire?, un poco arrotolato intorno ad alcune consonanti “musicali”. Non saprei adesso ricordare quali,ma ho nell’orecchio ancora lo svolgersi delle sue parole. Era un bel parlare,ad ogni modo,appena sottosegnato dal regionalismo,ma quieto,torno a ripetere,nel mio ricordo. Un amorevole suono. Tanto che già allora(e anche adesso,senza credere Sciascia un santo di pazienza),già allora pensavo che non fosse capace a contenere ira o violenza o sguaiataggine di sorta e che anche le sue parole più dure non fossero tali da essere destinate a trafiggere una persona intera,magari solo per un momento. In ogni caso, Sciascia, a definirlo tutto intero,lo vedo ancora,laggiù in Sicilia(la terra del sole), con la faccia quasi contro il vetro di una finestra,infreddolito,a guardare la neve che cade,che cade ed è trascinata subito via da un vento; dal vento. Come mi raccontava in una sua lettera (“ e poi dicono che la Sicilia è l’isola del sole”). Un personaggio cecoviano.

Così Gulino,per me,sta bene vicino a Sciascia. Possono camminare insieme. In Gulino,anche solo riguardando le riproduzioni delle sue acqueforti,è come sentire cantare sottovoce le muse. Il suono lontano,e vibrante,del clarino. Oppure,direi,le omeriche sirene che tentano il cuore e la mente d’Ulisse con velenosa dolcezza. Tutto è (sembra)sobriamente e stupendamente definito,deposto nella memoria,nella storia esistenziale,e nel segno appena tracciato,scalfito e motivato; eppure è come se un leggerissimo brivido,solo percepito con grande attenzione e grande emozione,sorvolasse le sue lastre,i segni; o quella lastra,quel segno;preavvertimento di un atto,un gesto,un moto,un grido,un suono,un sorriso di misterioso richiamo. Tutto è fermo,sembra;come concluso dopo la lunga fatica dell’opera(sull’opera); eppure tutto insinua e preannuncia la solitaria dilacerazione di un’armonia che non può essere mai di lunga durata. L’attesa dell’esplosione,l’attesa dell’urlo della farfalla. (Quel sentimento incombente che soprassiede anche alle pagine più furtive di Sciascia).Mi sento invitato,guardando e sfiorando,a un lungo meditare,che scalza via anche il sonno. E ho ricevuto l’inquietudine (sana)che mi invita e mi aiuta a cercare dentro di me; in confronto alle cose del mondo. Questo grumo di palpiti riflessivi riesco a dedurre,da un’opera complessa e insigne, semplicemente.

Roberto Roversi

NOTA BIOGRAFICA E CRITICA SULL'ARTISTA

Nunzio Gulino, nato a Comiso il 16 giugno 1920, frequenta ad Urbino il corso superiore all’Istituto di Belle Arti del Libro dove, sotto la guida dei maestri Leonardo Castellani e Francesco Carnevali, approda nel 1944 alla prima tappa significativa di un lungo percorso artistico: le acqueforti che illustrano <<La fiera di Sorocinez >> di Nicolaj Gogol’. Dopo la guerra, insegna a Città di Castello dove tiene nel 1949 la sua prima mostra personale. Due anni dopo fa ritorno ad Urbino e lì insegna fino al 1958 disegno prospettico ed architettonico e poi, dal 1966, disegno e storia dell’arte, sempre presso l’Istituto di Belle Arti. Nel 1967 si trasferisce a Roma, dove ancor’oggi risiede, continuando la sua attività di incisore e insegnante. E’ del 1968 la sua prima mostra antologica alla Galleria d‘Arte Astrolabio di Roma. Tra i riconoscimenti più prestigiosi della sua intensa attività artistica: il primo premio alla VII Quadriennale d’Arte di Roma nel 1956 e i premi acquisiti alla III,V e VI Biennale dell’Incisione Italiana Contemporanea di Venezia negli anni 1955-1963 e 1965.

Gulino è nato in Sicilia, e forse per averla abbandonata in età breve può darsi pure che sia stato il vento polare degli inverni in Urbino a raggelargli carattere e loquela. Intanto gli mancano sintomi e accenti della sua terra ballerina, però non è da escludere qualche vampata di contrarietà sempre repressa con risatelle socievoli. Quanto alla fama non muoverebbe un dito per uno spintone a porte altrui. E vive alacremente in una solitudine che è pure il mordente della sua arte. L’acquaforte non è forse un dettato della solitudine?

Libero de Libero

Gulino, per quanto io lo conosca, vive pure come in un suo <<ritiro>>. E, anche a non conoscerlo, basta guardare i suoi fogli. La poesia vi si inscrive attraverso una pazienza infinita, una sottile e sagace ricerca. E i termini pazienza e ricerca vanno intesi al di là del mestiere: in tutto dentro la fantasia. Che è una fantasua complessa, e senza dubbio anche composita: e va dall’oggetto al suo fantasma, dalla realtà alla surrealtà, dall’occasione e dall’aneddoto al sogno - e a volte al divertimento, alla parodia.

Leonardo Sciascia

I nomi dei maestri della nostra incisione moderna, da Morandi a Maccari, a Longanesi, a Bartolini, a Viviani, a Zancanaro, a Manaresi, sono da richiamare solo per riconoscere a Gulino la grande tradizione cui egli si ricongiunge spontaneamente per virtù di stile e di magia operativa….. Al filo del suo stupore, Gulino è poeta dei pensieri, dei ricordi, dei misteri e dei brividi del tempo che sono nelle cose umili, nel loro apparire.

Alfonso Gatto

 COLOPHON

L’acquaforte originale contenuta in questa cartella, settima della serie "Omaggio a Leonardo Sciascia", è pubblicata a cura dell’Associazione degli Amici di Leonardo Sciascia. L'acquaforte di cm 18,7 x 24,7 è stata impressa su carta Magnani bianca di 310 grammi su fondino dai torchi di Vincenzo Burlizzi a Firenze in 100 esemplari di cui 80 in numeri arabi, destinati ai Soci, 10 in numeri romani e 10 prove d’autore riservate all' Artista.