di Paolo Di Stefano
Se si facesse una indagine lessicografica, probabilmente si scoprirebbe che la parola “onore” è ormai un termine a bassissima frequenza nel dizionario degli italiani. Figurarsi l'espressione “questione d'onore”. Ma anche le corna sono ormai una simbologia nettamente in disuso a vantaggio di gestacci meno mediterranei come l'esibizione del medio ben teso. Eppure, pare che ci siano, nel mondo della postmodernità fluida, enclavi di un'arcaicità che risulterebbero semplicemente ridicole se non esprimessero, a volte, una rabbia esplosiva quanto insensata. Si pensava, quasi per un riflesso pavloviano, che l'agguato dell'altra notte a Catania fossa da rubricarsi tout court sotto la voce “mafia”, purtroppo ancora ben salda nella borsa valori del lessico siciliano.
Invece no. Niente criminalità organizzata, piuttosto criminalità altamente disorganizzata, al punto da coinvolgere per sbaglio una studentessa di passaggio. Insomma, i fatti sono questi: Andrea Rizzotti, un impiegato comunale incensurato, nonché benzinaio a tempo perso, ha voluto vendicarsi dell'onore perduto a causa di una nipote fuggita con un uomo (questo sì pregiudicato e legato a contesti mafiosi), il vero bersaglio della sparatoria. Tra le cui colpe – stando alle dichiarazioni dell'arrestato – c'era anche l'abitudine di passare dal distributore mostrando beffardamente le corna al suo nemico giurato.
Chi riteneva che certi codici di comunicazione (e di comportamento) fossero ormai relegati alla memoria gloriosa dei romanzi di Brancati o delle commedie di Germi (Sedotta e abbandonata su tutte), resterà deluso. La stratigrafia di certa società maschilista (certo paramafiosa) rimane ancora saldamente immortalata cinquant'anni fa nel Giorno della civetta, dove uno dei personaggi di Sciascia distingueva tra “uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà”. Rizzotti, di fronte a quel gesto offensivo che risale addirittura alla mitologia greca (le corna erano scherzosamente rivolte al re Minosse per ricordargli il tradimento della moglie Pasifae con il Toro di Creta, da cui sarebbe nato il Minotauro), deve essersi sentito niente più che un “quaquaraquà” e dunque ha pensato bene (malissimo) di ricorrere al grilletto per saldare un conto che restava sfacciatamente aperto coram populo.
Reti e Simboli
(Il Corriere della Sera, 3 luglio 2010)

