2. “Così Norberto Bobbio dalla prima pagina della Stampa ha tuonato in difesa della minacciata unità per - implicitamente - puntellare le cadenti mura di questo Stato. E l’ha fatto intonando l'inno al “grande patrimonio ideale” dell'Italia ricordando Manzoni, Sciascia e Gadda.......[omissis]... Né Bobbio avrebbe dovuto citare Sciascia - tra le glorie nazionali - senza ricordare la di lui recentissima battaglia sullo Stato di diritto che costò - negli ultimi anni - allo scrittore siciliano un vergognoso ostracismo intellettuale... [omissis]... Il senatore Bobbio dovrebbe spiegarci quale Stato siamo chiamati a difendere dalla peste bossiana: lo Stato di diritto di Sciascia o la repubblica delle procure?”
in Bobbio cita Gadda ma dovrebbe rileggere ‘Quer pasticciaccio', Il Foglio, 1 ottobre 1996
“[omissis]. Segue il turno di Leonardo Sciascia. Oggi, rischierebbe di essere processato per concorso esterno in associazione mafiosa, ha dichiarato ieri Cossiga intervenendo su uno di tempi (sic) più caldi del momento.
« Pacchetti, pacchettini, per carità - ha spiegato - Se uno dice qualcosa sui pentiti gli può arrivare subito la comunicazione giudiziaria per concorso esterno in associazione mafiosa, perché indebolendo in qualche modo la posizione dei pentiti si è rafforzata la mafia. Questo è un paese in cui hanno dato del mafioso a Sciascia. Povero Sciascia, forse la morte gli ha risparmiato un processo ».
in « Ma è meglio Saint Just » Cossiga: alla riforma del pds preferisco la giustizia giacobina, La Stampa, 9 gennaio 1997, pag.2
3. “ Non è stato Andreotti a suggerire a Sciascia la filosofia disfattista di « colpire la Mafia oggi equivale a colpire l’economia siciliana » e neppure al Procuratore della Repubblica di Palermo che diceva ai Falcone e Borsellino: « E facciamola finita una buona volta con queste indagini che stanno rovinando l’economia siciliana ».”
in Bocca, Giorgio, Complotti e lupare, La Repubblica, 28 agosto 1996, pag. 4
4. “Mi spiace dissentire da Sciascia morto (da quello vivo, il dissenso era molto stimolante). Ma penso che ciò che lui disse di Andreotti lo avrebbe detto di chiunque altro al posto di Andreotti avesse governato, come lo si era detto di Giolitti, definito da Salvemini « il ministro della malavita »
in Montanelli, Indro, Da secoli la corruzione è di casa in Italia, “La stanza di Montanelli”, Corriere della Sera, 9 novembre 1999, pag. 41.
NdC: Montanelli in risposta ad un lettore, M. Griffo, che gli chiede la sua opinione in merito "al coro di lodi a Giulio Andreotti dopo l'assoluzione nel discutibile processo di Palermo" e ricorda al giornalista un giudizio di Sciascia espresso nel maggio 1979 dove alla domanda "che farebbe lei se governasse" rispondeva " Rimanderei a casa Andreotti che riunisce in sé il peggio, nei secoli, della storia d'Italia..."
5. “Leonardo Sciascia è morto il 20 novembre del 1989... (omissis)... Sono passati solo dieci anni e, a giudicare da molti di quelli che in questi giorni, in cui cade il decennale della scomparsa lo vanno celebrando, di questi scritti di Sciascia (NdC: "A futura memoria" Bompiani, 1989) sembra che la memoria si sia persa. Non sarà male, forse, ripubblicarne qualche brano”.
in Jannuzzi Lino (a cura di), "Quando noi non ci saremo più, e Scalfari sarà meno potente, Il Foglio, 20 novembre 1999, pag. I (paginone con estratti da scritti di Sciascia in memoria del decennale dalla scomparsa, con quattro vignette di Vincino)
6. “Violante, da presidente dell’Antimafia, fu quello che agli inizi degli anni ’90 fece di tutto per allontanare Carnevale dalla Cassazione. Ci riuscì al termine di una durissima campagna d’opinione (“prima lo chiacchierano e poi dicono che è chiacchierato”, osservò in quei giorni Leonardo Sciascia) e dopo un bizzarro “monitoraggio” disposto, sulle sue sentenze, da Claudio Martelli, allora ministro Guardasigilli.
in Se lo sa Violante. Torna in Cassazione il giudice Carnevale, l’ammazzasentenze. E potrà sostituire Marvulli, Il Foglio, 12 dicembre 2003, pag. 1
7. “ I sindaci per definizione devono difendere il buon nome della propria città. Avrei preferito sfuggire a questa ovvietà, se questo nome non fosse associato a quello di Leonardo Sciascia. La vicenda raccontata da Matteo Collura (Corriere, 11 maggio) sul paese di Racalmuto, diviso sull’opportunità di intitolare il teatro a Sciascia, rischia di apparire sotto una luce ingenerosa. Il fatto che i miei concittadini discutano e prendano appassionatamente parte a una contesa sul nome di Sciascia testimonia l’attaccamento non solo a Leonardo Sciascia ma alle cose stesse del paese. E sono tante: una fondazione che custodisce e valorizza il patrimonio artistico e morale dello stesso Sciascia; un teatro riaperto dopo quarant’anni che sotto la guida di Andrea Camilleri ha portato decine di spettacoli e 12 mila spettatori in tre anni; una comunità tutta che si impegna nelle associazioni, nel volontariato, nei gruppi musicali e artistici. E tutto questo in un panorama difficile e aspro come la Sicilia e in particolare come la provincia di Agrigento, carica di bisogni e di necessità. La polemica sul nome, collocata dentro le dinamiche politiche di un paese, a prescindere dalle posizioni individuali, è mossa quindi da affetto e passione, gli stessi sentimenti che muovono Collura: lo stesso spirito che non disconosce Sciascia, ma anzi lo ritiene un maestro di letteratura e di impegno civile.
in Restivo, Luigi (Sindaco di Racalmuto), Sciascia e i cittadini di Racalmuto, rubrica Interventi e repliche, Corriere della Sera, 15 maggio 2005, pag. 39
8a. “ 1986. Pianeta azzurro è il romanzo più « politico » di Malerba. La politica come gigantesca allegoria? « La politica affrontata direttamente nei romanzi non mi è mai interessata. Penso a Sciascia, le cui posizioni alla fine risultano vagamente ambigue. Io vorrei sapere che cosa pensano i mafiosi dei suoi libri. E’ probabile che li leggano, ma ho sempre il dubbio che possano piacere alla mafia, perché i libri di Sciascia hanno finito per mitizzarlla come un’entità misteriosa e romanzesca » ”
in "Malerba: Sciascia fece della mafia un mito. Con le sue storie la trasformò in una realtà romanzesca. Forse in quell’ambiente piacciono i suoi libri", intervista di Paolo di Stefano a Luigi Malerba, Corriere della Sera, 31 maggio 2005, pag. 35 [con richiamo in prima pagina “ Malerba: « Sciascia potrebbe piacere ai mafiosi ». Lo scrittore fa i conti con 50 anni di vita letteraria: Leonardo mitizzò la realtà dei boss” ]
8b. “ Prima Manlio Sgalambro, convinto che la mafia sia pericolosa in quanto realtà concettualizzata da Leonardo Sciascia. Poi Racalmuto che si rifiuta di intitolare al grande scrittore siciliano il teatro Regina Margherita. Ora Luigi Malerba, scrittore del gruppo ’63, addirittura sostiene che l’autore del “Giorno della civetta”, « potrebbe piacere ai mafiosi perché i suoi libri hanno finito per mitizzare la mafia come un'entità misteriosa e romanzesca ». Da notare, il verbo condizionale e il carattere supposto dell’analisi di Malerba, omen nomen, tipica del periodare mafioso. Che dice e non dice, convinto che il problema sia di chi solleva il problema. Era meglio non scriverne, della mafia? Il dubbio - pro reo - è che Malerba abbia confuso Sciascia con Mario Puzo, autore della saga del “Padrino”, lui sì indulgente al fascino dell’epica mafiosa e assai apprezzato dai mafiosi stessi. Che dire, « A ciascuno il suo ».”
In Viva Sciascia, rubrica dizionario, Il riformista, 1 giugno 2005, pag. 1
8c. “Non so se i mafiosi leggano i libri di Leonardo Sciascia, ma condivido il giudizio espresso da Luigi Malerba, nell’intervista uscita sul Corriere della Sera del 31 maggio, su un’ambiguità dello scrittore siciliano, nei confronti della mafia, una tendenza alla sua mitizzazione... (omissis)... Sciascia, sia pure estraneo ad ogni forma di sicilianismo, ha subito la fascinazione del mito... (omissis). Omertà, onore, rifiuto della giustizia ufficiale, mafia benigna: è probabilmente questo il percorso alla cui conclusione troviamo l’attrazione per la mafia anche di chi mafioso non è, e Sciascia non ne era esente: riconosceva alla mafia del passato, come quella che si diffondeva negli Stati uniti fra gli emigranti siciliani uno spiccato carattere “morale” e confessava lucidamente in un’intervista a Marcelle Padovani pubblicata nel 1979: «... (omissis)... Quando denuncio la mafia, nello stesso tempo soffro poiché in me, come in qualsiasi siciliano, continuano a essere presenti e vitali i residui del sentire mafioso. Così, lottando contro la mafia, io lotto anche contro me stesso, è come una scissione, una lacerazione ».
In Pezzino, Paolo, Sciascia e il mito della mafia « buona », Corriere della Sera, 3 giugno 2005, pag. 33
8d. “... (omissis)... Io sono di Racalmuto, ho 25 anni e non ci vuole chissà quale lume per dire che le pagine di Sciascia siano, forse anche indirettamente, una continua lotta contro ogni potere di tipo mafioso, per una ricerca della verità e della giustizia che, come ha detto lo scrittore a Racalmuto nel 1986, in Italia è « malata ». Mi stupisco come uno scrittore riesca a notare “ambiguità” nelle posizione lucide e spesso profetiche di Leonardo Sciascia. Dicendo queste cose, penso che non è Sciascia che « potrebbe piacere ai mafiosi », ma chi sulle opere di Sciascia ha ancora dei dubbi. Meno male che almeno a scuola, per fortuna, uno dei testi da leggere e da studiare è proprio “Il giorno della civetta”.
In Picone, Salvatore, Leonardo Sciascia: nessuna ambiguità, rubrica Interventi e repliche, Corriere della Sera, 5 giugno 2005, pag. 41
9. “ Ricordate Leoluca Orlando? Era lui il cocchiere di razza che, con ciuffo al vento e sguardo altero alla Ben Hur, guidava il carro rostrato dell’antimafia politicante... (omissis)... E se un uomo mite e di raffinatissimo intelletto si azzardava a sostenere che dietro quelle sue crociate c’era soprattutto un disegno di potere, lui - il sindaco di Palermo - mobilitava i miliziani del Coordinamento Antimafia - ...(omissis)... Successe con Leonardo Sciascia, colpevole di avere scritto per il Corriere della Sera un articolo sui professionisti dell’antimafia. “Sciascia? Un quaquaraqua che noi consideriamo ormai ai margini della società civile”, sentenziarono i guardiani della rivoluzione giustizialista... (omissis)... C’era da scegliere tra Sciascia e Orlando? Grande stampa e grande tv preferirono non lasciarsi sfiorare dal dubbio. Issarono le forche medianiche e cominciarono a massaggiare per benino chiunque tentasse di ostacolare l’ascesa del più puro tra i puri. Maurizio Costanzo montò il palchetto per l’aggressione a Falcone. Eugenio Scalari, Giampaolo Pansa, Giorgio Bocca azzannarono Sciascia con polemiche leonine
in Sottile Giuseppe "Colpo di coda dell’Antimafia: Mannino in carcere, Scarpinato e Orlando in gita", Il Foglio, 12 maggio 2004, pag. I
9a. “ L’ultimo incontro (di Leoluca Orlando, NdC) con Leonardo Sciascia prossimo alla morte. L’ultimo atto di una querelle personalissima e armata sui professionisti dell’antimafia. “Non era stata una riconciliazione, nessuno di noi due aveva ritrattato, nessuno di noi si era pentito”. Sciascia moriva una settimana dopo.”
in Fatuzzo, Giuseppina, "De Sizilianische Karren", il carretto di Leoluca Papasöhnchen, Il Foglio, 12 maggio 2004, pag. I
10. “ Al direttore - Il sindaco di Roccaraso, uomo ricco e benvoluto dalla società, è stato rinchiuso in un carcere per quarantott’ore. E dunque, a meno di non ipotizzare e subito dopo dimostrare che ha subito sevizie fisiche o morali, non si è certamente ucciso contro le carceri italiane, contro lo strapotere dei giudici, contro le celle due per due, contro il bugliolo accanto al vassoio prandiale, contro i nostri penitenziari-Auschwitz che giustamente i radicali combattono da tantissimi anni, e non solo in agosto. Io credo che Camillo Valentini, alla cui memoria va la mia inutile simpatia, non si sia ucciso perché era un debole, avendo dimostrato una forza straordinaria nell’incaponirsi a sradicare la sua Roccaraso dalla questione meridionale... (omissis)... Non c’è infatti ambiziosa intrapresa che al sud non produca terremoti, persino preventivi (pensi al Ponte sullo Stretto) e non solleciti legittime indagini giudiziarie. Il giudice è lì per applicare la norma in un luogo dove domina la a-normalità, che è fatta di deficit; un luogo in cui, come scopriva amaramente Sciascia, i margini tra il delitto e il diritto sono strettissimi, labilissimi, ridottissimi. Questo è un paradosso in cui è facile incagliarsi, sia per i giudici sia per i politici e anche per i giornalisti... (omissis)... Ma Valentini, suicidandosi, si è sottratto al diritto e non capisco perché questa semplice verità, l’oltranza di un Tantalo del Mezzogiorno contro il Diritto nel Mezzogiorno, debba scandalizzare un uomo forte e generoso come lei. Davvero dobbiamo caricare Valentini di un’ulteriore afflizione e riproporre lo scenario stantio e insopportabile dei Previti contro i Di Pietro? Valentini, caro direttore, non è un personaggio del suo Berlusconi, ma un “uomo” del mio Sciascia. Francesco Merlo ”
“ Il suo ritratto di Valentini non è in discussione. È impeccabile, le credo sulla parola. Ma che cosa c’entra Previti, uomo solido che nel diritto ci sguazza? Niente, se non come eco utile alla polemica. C’entrano invece Moroni, Amorose, Cagliari, Gardini e altri che si suicidarono nel Nord, lontani da Sciascia. Il mio Berlusconi ed io liberammo per decreto un paio di migliaia di persone, nel ’94. Il decreto fu silurato, ne rientrarono in carcere una cinquantina. Il carcere preventivo in Italia è una vessazione e uno strumento di indagine imperniato sulla gogna: barbarie. Valentini non si è sottratto al diritto, ma alla vita, che non è meno importante. Ricorderà, caro Merlo, una vecchia polemica con il compianto Alessandro Galante Garrone. Secondo lui lo sciopero della fame del carcerato Renato Squillante disonorava la toga, era un insulto al diritto, un modo di sottrarsi all’imperio della legge. Secondo me non si deve confondere la toga con il corpo che la sorregge. Siamo sempre lì.” (Non firmato, ma attribuibile a Giuliano Ferrara, NdC )
in "Merlo si risente con garbo per un nostro giudizio, La risposta", Il Foglio, 21 agosto 2004, pag. 4
11. “Che i Flaminio Maphia vendano molte copie del loro ultimo cd “ Per un pugno di euri”. Ci voleva l’alleanza Crusca-rapper per mostrare alla palude dell’italofonia servile, giornalisti, politici, pubblicitari, parrucchiere, che si può decidere della propria lingua nelle piazze di Roma, non nei palazzi a Bruxelles. (Questo per quanto riguarda gli euri, per quanto riguarda la maphia lunga vita a Sciascia e montagne di rese a Sgalambro).”
in Langone, Camillo, Preghiera, in Il Foglio, 22 Febbraio 2005, pag. 2
(a cura di Francesco Izzo)