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Domenica 29 novembre 2009 si è tenuta a Firenze, presso il Palazzo Borghese, l'Assemblea generale straordinaria dell'Associazione Amici di Leonardo Sciascia. Durante l'incontro, molto coinvolgente per interventi e proposte, sono state tracciate le linee di attività per i prossimi tre anni ed è stato eletto il nuovo Presidente.

 Insieme al Presidente è stato eletto il nuovo Consiglio Direttivo che è dunque così composto:

Prof.Josè Luis Gotor, Roma,  Presidente
Salvatore Vullo, Torino, Vice Presidente
Carlo Fiaschi, Firenze, Segretario
Sergio Piccerillo, Brescia, consigliere
Karin Hofer, Firenze, consigliere
 
Il nuovo Consiglio direttivo, a norma di statuto, resterà in carica fino all'approvazione del bilancio 2010.
 


 

Assemblea annuale Associazione Amici di Sciascia

Domenica 13 marzo 2011, gli Amici di Sciascia terranno la loro assemblea annuale a Firenze presso il Palazzo BorgheseVia Ghibellina, 110 – a partire dalle ore 10,30 fino alle ore 16,30.

L'assemblea, aperta a soci e simpatizzanti, prevede la relazione del segretario sulle attività 2010, la discussione a approvazione del bilancio consuntivo 2010 e del bilancio preventivo 2011, la presentazione e discussione del piano attività 2011.

Verrà inoltre data comunicazione sulla rivista internazionale di studi sciasciani Todomodo pubblicata dalla casa editrice Leo S. Olschki e curata dagli Amici di Sciascia,il cui primo numero uscirà nel novembre 2011.

L'assemblea provvederà al rinnovo delle cariche sociali con l'elezione del Consiglio direttivo e del Collegio dei revisori.

Ai soci presenti in regola con l'iscrizione verrà consegnato il libro                 Troppo poco pazzi – Leonardo Sciascia nella libera e laica Svizzera curato da Renato Martinoni e pubblicato dalla Casa Editrice Leo S.Olschki di Firenze, in collaborazione con gli Amici di Leonardo Sciascia.

Scarica qui la lettera del segretario con il programma.

Preannuncia subito la Tua partecipazione scrivendo  una mail  a :segreteria@amicisciascia.it

 

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Iscritti e simpatizzanti dell’Associazione degli Amici di Leonardo Sciascia sono convocati in assemblea generale ordinaria per il giorno Sabato 27 marzo 2010 alle ore 10,00 in prima convocazione e alle ore 10.30 in seconda convocazione a Firenze presso Palazzo Borghese (Via Ghibellina 110, tel. 055 2396293, www.palazzoborghese.it ), per discutere e deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Relazione  del Consiglio di Amministrazione sui progetti per l'anno 2010
  2. Discussione e approvazione del bilancio consuntivo dell’esercizio 2009
  3. Discussione e approvazione del bilancio preventivo per l’esercizio 2010
  4. Varie ed eventuali

 Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto l’assemblea generale, convocata mediante avviso personale scritto ai soci, deve ritenersi valida qualunque sia il numero dei partecipanti.

NON SONO AMMESSE DELEGHE (art.15 Statuto).

Ai sensi dell'art. 14 dello statuto nelle assemblee, sia ordinarie che straordinarie, hanno diritto di voto solo i soci in regola con i  pagamenti delle quote associative.

Si invita pertanto a regolarizzare la propria posizione

(meglio con carta di credito telefonando al 339-7194071 - Sig.ra Penny Brucculeri - o tramite c/c postale o bonifico bancario).IL RINNOVO COMUNQUE POTRA' ESSERE EFFETTUATO ANCHE IN OCCASIONE DELL’ASSEMBLEA.

 

F E’ prevista,come sempre, una colazione presso la sede dell’assemblea e, pertanto, per motivi organizzativi, si invita a preannunciare entro il    19 MARZO. la propria partecipazione all’assemblea per e-mail a segreteria@amicisciascia.it oppure a mezzo telefono al Segretario Carlo Fiaschi (cell. 3939591232).

E' VIVAMENTE RACCOMANDATA LA PARTECIPAZIONE DI TUTTI GLI AMICI.

p. IL CONSIGLIO DIRETTIVO

Il Segretario
Carlo Fiaschi

 

Il 13 marzo 2011 si è tenuta al Palazzo Borghese di Firenze, l'assemblea ordinaria dei soci per discutere e deliberare sul seguente ordine del giorno:
1. Relazione del Segretario sulle attività 2010
2.Discussione e approvazione del bilancio consuntivo 2010
3. Rinnovo cariche sociali con elezione del Consiglio direttivo
4. Piano attività 2011 - Discussione ed approvazione del bilancio preventivo 2011
5. Varie ed eventuali
 
Il nuovo organo direttivo che è risultato eletto è composto da:
RENATO ALBIERO, Presidente
BRUNO PISCHEDDA, Vice Presidente
CARLO FIASCHI, Segretario
FRANCESCO IZZO, Consigliere
SERGIO PICCERILLO, Consigliere
 
FEDERICO GIANNI, Tesoriere
PENNY BRUCCULERI, Segreteria Servizi
 
All'interno il verbale completo dell'Assemblea.
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Il 13 marzo 2011 si è  svolta a Palazzo Borghese, Firenze, l'assemblea ordinaria degli Amici di Leonardo Sciascia. L'assemblea ha discusso e deliberato sull'approvazione del bilancio 2010, gli obiettivi e il piano d'azione 2011 con il bilancio preventivo correlato.

Sono stati altresì rinnovati gli organi direttivi che, a norma di statuto, restano in vigore per due esercizi. Allo spagnolo José-Luis Gotor, già pro-rettore dell'Università di Roma Tor Vergata, succede alla presidenza il cardiochirurgo Renato Albiero, di Palermo. L'italianista Bruno Pischedda, di Milano, è stato eletto vice-presidente mentre alla segreteria è stato confermato Carlo Fiaschi.

Il nuovo Consiglio direttivo è composto da (da sinistra a destra, nella foto):  Sergio Piccerillo, Carlo Fiaschi, Renato Albiero, Bruno Pischedda e Francesco Izzo.

Sono stati altresì confermati nei precedenti incarichi Federico Gianni (Tesoriere) e Penny Brucculeri (Servizi e Distribuzione).

Vedi il verbale d'assemblea

 

Il potere è altrove. Con questa affermazione – secca, lapidaria – Leonardo Sciascia chiuse, nel lontano 1983, la propria esperienza parlamentare. In poco meno di quattro anni, aveva potuto constatare che le decisioni più importanti, per il Paese e per i suoi cittadini, venivano solo formalmente prese alla Camera dei Deputati o nel Senato della Repubblica. Altrove, lontano da quelli che vengono considerati i luoghi in cui si amministra il potere, forze occulte, nascoste, impalpabili segnavano e segnano – allora come ora – il destino dell’Italia. Atroce realtà, che Sciascia aveva già intuito, in uno dei suoi romanzi più famosi, scritto quasi dieci anni prima: Todo modo. Un’impietosa denuncia dei mali che affliggono la società italiana, e non solo: la corruzione, la schizofrenia del potere e, ancor di più, una dilagante, inarrestabile mancanza di idee. Un libro profetico, dunque, illuminante: che adesso sta per diventare uno spettacolo teatrale. Che, fedele alla poetica sciasciana, ribalta le regole del poliziesco. Nel poliziesco tradizionale, infatti, il crimine giunge a rompere l’equilibrio di una società perfetta; solo attraverso la scoperta e la punizione del colpevole la ferita, nel tessuto sociale, si rimargina: e tutto torna come prima, come se nulla fosse accaduto. Nelle opere di Sciascia, invece, la società è tutt’altro che perfetta, ed il delitto è come un vaso di Pandora: dal quale fuoriesce l’ingiustizia che permea le nostre società. Il crimine appartiene all’uomo e alla società malata che l’uomo ha creato. Perciò, spesso, è impossibile individuare il colpevole, i colpevoli. Simenon diceva che esistono solo vittime e non colpevoli; Sciascia sembra quasi ribaltare questa affermazione: tutti potrebbero essere colpevoli. In Todo modo, per esempio, alcuni tra i più importanti uomini politici, industriali, rappresentanti del clero, riuniti in un luogo misterioso – l’Eremo di Zafer – per praticare gli esercizi spirituali, vengono assassinati da una mano misteriosa. Uno dopo l’altro. Ne nasce un’inchiesta intricatissima, in cui rimangono invischiati il procuratore Scalambri ed un famoso scrittore, capitato per caso nell’Eremo di Zafer. Un’inchiesta irta di ostacoli, che rischierebbe di far saltare i meccanismi del potere. Ma, contro lo Scrittore e il Procuratore, si erge non solo il muro di omertà degli ospiti dell’eremo, ma soprattutto la personalità, al tempo stesso terribile ed affascinate, di Don Gaetano. In apparenza, semplicemente un gesuita, che ha organizzato gli esercizi spirituali; in verità, un personaggio assai complesso, un essere astuto, colto, cinico, dotato di un’intelligenza superiore, che appartiene alla genia dei cattivi dei romanzi gotici, o a quella degli antieroi della letteratura russa, dal Grande Inquisitore di Dostoevskij al Demone di Lermontov.
Nel corso dello spettacolo, dunque, mentre gli eventi si susseguono a ritmo incalzante, quasi come nei romanzi di Agatha Christie, i protagonisti – uomini con idee e visione del mondo totalmente differenti – si scontrano e si confrontano. Cos’è giusto, e cosa non lo è? A cosa deve aspirare, in cosa deve credere un individuo, una società, l’umanità? Tutte domande che ci tormentano e a cui, da millenni, noi e i nostri simili cerchiamo invano una risposta…

 

Fisicamente ricorda poco l’aspetto del nonno: alto, solare, sguardo intenso. Eppure Fabrizio Catalano Sciascia è chiamato a sostenere la grande eredità che il genio familiare gli ha lasciato.

Lo fa con grande limpidezza, lo fa con la forza degli scritti che sono patrimonio universale e familiare. Lo fa partendo dal teatro, ieri con la messa in scena de Il giorno della civetta, oggi con Todo modo, che debutta in prima nazionale al Teatro Vittorio Emanuele di Messina il 14 maggio. L’adattamento teatrale di uno dei più famosi “gialli” sciasciani è firmato dal maggiore biografo italiano di Sciascia, Matteo Collura, giornalista e autore del Maestro di Regalpetra.
“Ho lavorato a questa versione teatrale – spiega Collura – tenendo conto di quanto Sciascia mi confidò relativamente a Todo modo e a tutto quanto (religione, politica e costume) ruota attorno al racconto”.
Un testo molto fedele all’originale, come è stato confermato da Maurizio Marchetti, direttore artistico della prosa dell’Ente Teatro di Messina, co-regista con Fabrizio Catalano, e interprete del “magistrato”. Lo spettacolo, che il 18 maggio chiuderà la stagione di prosa del teatro messinese che lo ha prodotto in collaborazione con l’Aapas di Sebastiano Calabrò, vede protagonisti Virginio Gazzolo, nel ruolo del satanico Don Gaetano, e Pino Caruso nel ruolo dello scrittore, che nella versione teatrale sostituisce la figura del pittore, alter ego letterario dello stesso Sciascia.
Un cast siciliano che durante la distribuzione cambierà interpreti: per impegni pregressi, infatti, Pino Caruso verrà sostituito per le repliche in giro nei maggiori teatri italiani da Paolo Ferrari.
“Todo modo è una terrificante riflessione sul potere, sulla politica, sulle menzogne della nostra nazione – ha sottolineato Marchetti – e va molto apprezzato il coraggio di produrre uno spettacolo quanto mai moderno dal punto di vista dell’analisi”. Al direttore artistico fa eco Fabrizio Catalano Sciascia, che ha ribadito “la necessità di riproporre una riflessione sulla società, sul rapporto con la Chiesa, sul potere che ci illude di farci complici, ma che è sempre altrove”.
Si sentiva il bisogno di Sciascia, di riscoprire un testo di metafora politica che non è solo una testimonianza del clima storico in cui è stato scritto (basti pensare che l’anno di pubblicazione è l’anno del referendum sul divorzio), ma è una critica alla vacuità e alla formalità di alcuni rituali (rappresentati ad esempio dalla recita del rosario) con la contrapposizione tra una ragione piegata alla fede cristiana e una ragione laica, rivelatrice della verità che solo lo spettatore, il lettore, potrà trovare.
Un clima di grande entusiasmo coinvolge tutto il cast, con Pino Caruso che, a detta anche di Catalano, ha molti tratti in comune con lo scrittore siciliano e che durante la conferenza di presentazione di Todo modo ha dichiarato “di sentirsi meno intelligente dopo la morte di Sciascia”, le cui pagine lo hanno accompagnato nel corso di una vita intera.
Nessuna anticipazione sull’adattamento in scena: un work in progress annunciato che potrebbe riservare sorprese.

Palmira Mancuso

FONDAZIONE “LEONARDO SCIASCIA” - RACALMUTO


Sta per scadere il termine di partecipazione alla settima edizione del Premio di Laurea “Leonardo Sciascia”, fissato per il prossimo 30 maggio. 

La notte delle lucciole è il titolo della bella rappresentazione teatrale che Roberto Andò ha costruito quasi per intero su testi e dichiarazioni di Leonardo Sciascia in un immaginario dialogo con Pier Paolo Pasolini. Il titolo allude proprio a quest’ultimo, al suo famoso pezzo sulla scomparsa delle lucciole, oltre che al Pirandello delle Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla terra.

Lo spettacolo, convincentemente interpretato dall’ottimo Marco Baliani, ha proseguito il suo tour con un meritato successo che ci auguriamo prosegua in altre città e in altre stagioni. Perché l’opera di Andò rappresenta, con Sciascia, un buon antidoto alla stupidità imperante in una società senza più maestri in cui la scuola, come anche l’informazione e la cultura, è stata ridotta da una scellerata politica bipartisan a spettacolo, al ludico e decerebrato intrattenimento mediatico-televisivo (ovverosia al minimo comun denominatore del berlusconismo Mediaset e dell’ antiberlusconismo della Rai  già ulivista). Nella rappresentazione di Andò, sulla scena, tra i banchi di una scuola, risuona la voce del Maestro di Regalpetra e la finzione del teatro diventa, viceversa, scuola di coscienza e conoscenza.
Quale sia lo Sciascia di Andò e Baliani richiederebbe un troppo lungo discorso critico. Diciamo, semplificando un po’, che è soprattutto lo Sciascia che va dalle Parrocchie di Regalpetra all’ Affaire Moro. Uno Sciascia che resterà se stesso ma diverrà anche un altro, negli anni Ottanta. Che aveva anzi già cominciato a divenirlo, da Candido in poi.
Le intenzioni di Andò si possono leggere nella sua bella ed efficace presentazione dello spettacolo (la pubblichiamo a parte) che egli definisce, in maniera appropriata e suggestiva, una “veglia”. Andò richiama il tema della morte quale motivo ispiratore della messinscena e l’intonazione e le note della pietà come scandaglio di redenzione civile.
Completerei, da parte mia, ricordando la veglia della ragione: l’insonnia che fu frequente metafora in Sciascia di sgomento esistenziale e politico (dalla guerra civile in Spagna e dal patto Molotov-Von Ribentropp a Moro). L’italiano è il ragionare faceva dire Sciascia al professor Franzò in Una storia semplice. E anche il teatro, nella Notte delle lucciole, è il ragionare. Sta qui il suo incondizionato valore di testimonianza civile (senza scordare i suoi pregi, con qualche piccolo limite, sul piano dell' arte e dell' interpretazione critica) in una società in cui, per citare ancora l’affilata ironia del professor Franzò, si può stare «più in alto» con meno italiano, con meno teatro, con meno cultura, con più stupidità asservita al potere o, come ora si dice, alla "casta".
In questa lucida veglia, in questa bella festa di intelligenza e passione, di coscienza che illumina e rischiara la realtà (senza trionfalismi, come un «lanternino» avrebbe detto Pirandello al quale dispiacevano invece, come perniciose illusioni, i «lanternoni» delle ideologie), in questa musica ben concertata e interpretata, pochissime sono le note stonate. Con il rischio di prendere lucciole per lanterne (e pirandellianamente: «lanternini» per «lanternoni») quando, a commento di un passo delle Cronache scolastiche, Marco Baliani con tono ammirato postilla (con Andò, dobbiamo pensare), che Sciascia, lì, quasi precorre don Lorenzo Milani. Un ossequio a Sciascia o viceversa, come mi sembra, a uno dei perduranti miti e idoli del vangelo dell'ideologia politically correct? Si tratterebbe allora, per dirla chiaramente, della nota stonata nel registro dell' acritico e prono ossequio all’ideologia egemone delle teorie educative e della politica scolastica da quando, nel clima di un ininterrotto Sessantotto, passando dalla didattica alternativa degli anni Settanta a quella ministeriale dei Novanta, hanno cominciato a imperare nipotini di padre Milani e demolinguisti gramsciobarbiani. Con il deliberato proposito, brillantemente attuato, di negare e svilire il ruolo e la funzione docente, di negare e svilire i contenuti disciplinari e culturali e lo spirito critico abbassando continuamente i livelli di insegnamento e apprendimento. Insomma: abbassare il livello di cultura della scuola anziché innalzare, con la scuola, il livello di cultura del popolo sovrano. Come a dire: il maoista “servire il popolo” coniugato col mercato mediatico di programmi "aggiornati" fuori di polverose tradizioni culturali e nell'orizzonte di un sol non più dell'avvenire ma del presente, con una didattica che traghetta la scuola da Ungaretti o Svevo agli Amici della De Filippi, dal Paradiso di Dante a Tre metri sopra il cielo di Moccia. Non esagero: a Roma, al liceo Giulio Cesare un docente moderno, aggiornato e politically correct, voleva portare al cinema, a vedere quel film, la sua classe che si è ammutinata pretendendo la consueta lezione in aula (il caso è finito nella cronaca dei giornali in un giorno, speriamo, da segnare sul calendario e da ricordare, in futuro come una data simbolica, come il 25 aprile o il 14 luglio).
Nulla di più distante da Sciascia (e da Gramsci, forse anche da don Milani). Nulla di più distante dalla Notte delle lucciole il cui intento, indiscutibilmente pedagogico, di veglia della ragione, si esprime, anche quando il ritmo dell' argomentazione si fa più serrato, per lo più nel tono recitativo, e nella visione, di un'individuale pacata conversazione o di una sommessa confessione. E solo a tratti (così nella mia, un po' distanziata e spero non ingannevole, memoria della rappresentazione) accenna ad una rappresentazione corale  e quasi epica della realtà che costituisce un’altra stecca del regista che ha impostato quelle scene sul registro stonato di una retorica da realismo socialista degli anni Cinquanta che se riguarda il contesto storico delle Parrocchie  non riguarda certo la realtà del testo e della biografia di Sciascia.
Insomma: La notte delle lucciole stecca, prendendo lucciole per lanterne, là dove, nei contenuti e nella messinscena, si intona non ad un atto di verità dell' esperienza e della conoscenza ma ad una, sia pur velata, retorica ideologica, ivi compresa quella della vocazione e della missione del maestro quale vessillifero organico alla classe.
Tralasciando la classe proletaria, siciliana o terzomondista, mi limito alla classe discente, riprendendo il filo della vulgata del  donmilanismo quale reliquia incensata dal fanatico culto nella chiesa del "cretino di sinistra" (nella definizione sciasciana). Con il suo correlato di vacua retorica della missione docente che, già tanto cara, dopo il fascismo, ai vecchi tromboni democristiani (come può ricordare chi ha almeno una cinquantina d’anni), è riapparsa nel linguaggio di una già (e non più) sedicente sinistra (con la stessa funzione di deterrente ideologico alle rivendicazioni di più dignitose condizioni salariali e proprio negli anni di maggiori oneri e di inferiore status sociale degli insegnanti). A ulteriore dimostrazione che l’eterno fascismo italico, come Sciascia, sulla scia di Brancati, diceva, rispunta nei luoghi più impensati e anche apparentemente opposti, e che, di conseguenza, è necessario «dormire con un occhio solo», mantenere la ragione sempre vigile. Tanto più che  il fascismo è stato l’ errore non solo dei peggiori ma anche dei migliori.
E così, come dalla stupidità, sempre in agguato, non si può dire definitivamente vaccinato e indenne neanche il più acuto degli intellettuali, non ci si sorprenderà se anche in uno degli spettacoli più intelligenti della stagione, se non m’inganno, l'insonne ragione, stanca della prolungata veglia, si addormenta per qualche istante e provoca qualche nota stonata.
Resterebbe da argomentare sulle ragioni per le quali Sciascia non ha niente a che vedere con don Milani – a parte il fatto, questo sì, di vivere e di far conoscere, scrivendone, la realtà di una scuola in cui i più poveri sono destinati all’insuccesso - né tantomeno con i suoi deleteri nipotini. Ma poiché sullo Sciascia maestro e sulla scuola tornerò più estesamente, in futuro, mi limito qui, ormai in conclusione, a qualche accenno.
Il maestro di Regalpetra nulla aveva della cattolica vocazione alla missione del maestro e parroco di Barbiana e non apparteneva né si sentiva organico a nessuna chiesa, neanche di partito, e a nessuna classe.
Egli esprimeva sì la propria compassionevole umanità, la pietà verso le vittime della storia cui dava voce a risarcimento dell'ingiustizia patita, ma, in primo luogo, la indirizzava verso singole vittime, singoli individui, e in secondo luogo misurando nel proprio superiore giudizio un'irriducibile distanza nei loro confronti che non veniva mai meno. Sciascia non annullava la propria identità negli altri e, perciò, scriveva senza epici e corali afflati di mistiche comunioni di massa: tanto cari, sì, a cattolici, fascisti, stalinisti, maoisti, ma a lui del tutto estranei. Per le stesse ragioni, in classe, non aveva affatto un atteggiamento di comunanza amichevole nei confronti degli alunni (come ha voluto e vorrebbe una sciaguratamente insensata demagogia politico-pedagogica). Era e restava il maestro.
Non si cerchi, perciò, di fare di Sciascia un maestro contestatore. Non lo era. Inoltre, come egli stesso diceva, non si possono servire insieme due padroni. E il suo padrone era la scrittura. Sciascia scriveva anche in classe, tralasciando la didattica, e per scrivere si assentava spesso da scuola, da cui ottenne poi il sospirato distacco e, infine, il pensionamento anticipato. Insomma: Sciascia non aveva affatto la vocazione del maestro, ma solo quella dello scrittore come dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, le diverse testimonianze raccolte in un recente volume su cui conto di tornare una prossima volta (Tra i banchi di Regalpetra. Leonardo Sciascia e la sua scuola di Salvatore Picone, prefazione di Felice Cavallaro, Editoriale Malgrado Tutto, Racalmuto, 2007).
Nelle Cronache scolastiche Sciascia scriveva: «Non amo la scuola; e mi disgustano coloro che, standone fuori, esaltano le gioie e i meriti di un simile lavoro» e descriveva il proprio stato d’animo di maestro come quello «dello zolfataro che scende nelle oscure gallerie».
È noto ed è vero (con opportune precisazioni e limitazioni) che questa scolastica discesa agli inferi di una realtà altra, di un vittoriniano «mondo offeso», costituisce l’origine della poetica sciasciana e delle sue opere più caratteristiche e riconoscibili (se non della sua scrittura tout court che aveva ben più letterate radici). Così come è noto e vero (le pagine iniziali delle Parrocchie stanno lì a ricordarcelo) che essa origina altresì una presa di coscienza e un conseguente impegno civile e politico  a fianco delle vittime della violenza e dell’ingiustizia del potere (anche qui con tutte le opportune e necessarie precisazioni contro l’ ingaggiu, l’organicità, il fanatismo e i cretini di sinistra ecc.).
E dunque la lettura che informa la trascrizione scenica di Andò (con il richiamo alle vittime e alle ingiustizie sociali) è certo una lettura fondata. Ma, appunto perché nota, non sta in essa il suo principale merito (casomai, viceversa, come abbiamo visto, in essa corre i suoi maggiori rischi). Il merito e la novità, invece, sta piuttosto nel fatto che in essa affiora, in maniera avvertita, il tema dell’ infanzia, di un’età in cui, più di ogni altra, l’uomo, l’umanità, può essere vittima e il vivere fonte di pena. Un tema (sia pur marginale e quasi occultato, ma costantemente e sotterraneamente presente) e una pista interpretativa che vale la pena (alla lettera) di seguire per vedere più a fondo nell’opera di Sciascia. L’angoscia di quella scolastica discesa agli inferi derivava da una coscienza che, prim’ancora e più che di natura sociale e politica, era esperienza sentimentale e intellettuale di quella pena del «troppo umano» del vivere che è, anche e soprattutto, l'infanzia.


Pietro Milone

L'esistenza del nostro sodalizio si è via via incrociata coi percorsi di tanti amici che hanno scritto, in momenti e luoghi diversi (libri,convegni, etc.), parole che qui si riportano per  buona memoria, con la  gratitudine per l'apprezzamento ed il sostegno che conferiscono alle iniziative intraprese dagli Amici di Leonardo Sciascia.

Senza l'apertura di credito ed affetto dei tanti che ci hanno sostenuto in questi anni, nulla sarebbe avvenuto.

 

Tom O' Neill (1999- QUADERNO LEONARDO SCIASCIA 4)

 "Gli Amici di Leonardo Sciascia e la loro pietas profondamente seria, serietà pietosa che si lega al desiderio di distinguere,come faceva l'ispettore Rogas del Contesto anche sulle morte carte, nelle morte parole, la verità dalla menzogna. Amici di Sciascia,Amici i cui nomi in veste di autori, relatori, curatori costellano le nostre pubblicazioni e così dantescamente (Inferno, IV 93) "

 2. José-Luis Gotor(1999-QUADERNO LEONARDO SCIASCIA 5)

 " Debo a la Asociación  de Amigos de Leonardo Sciascia  haber rememorado en mis sentimientos un dialogo y amistad  con Leonardo, en lejanos años,cuano él se asomaba al llamado entonces mundo de la letras o de la Literatura… Adherí en 1999 a la Asociación  de Amigos de Leonardo Sciascia con la máxima contribución económica de mi presente, que compensaba la indigencia de mis primeros  años romanos "

 3. Adriano Sofri (2001-QUADERNO LEONARDO SCIASCIA 7)

 "Il nome della vostra associazione ,Amici di Leonardo Sciascia, è già abbastanza inusuale e incoraggiante. Esistono società di Amici della musica o Amici dei musei:riconoscersi come amici di una persona, e di una persona schiva e discreta come Sciascia, è una singolare manifestazione di confidenza e di affetto"

 4. Gianfranco Dioguardi (2006 - E mail)

 " Ai cultori della Società Civile: Leonardo Sciascia merita di essere ricordato. Gli Amici di Leonardo Sciascia  meritano di essere aiutati. Aderite alla associazione ! "

5. Luisa Adorno(2008- TUTTI QUI CON ME,Sellerio Editore Palermo,pag 166)

"...(omissis).. Avversione confermata nei convegni che,in seguito,contribuii a organizzare per gli "Amici di Leonardo Sciascia",associazione senza sponsor,nè sovvenzioni,di cui ero presidente. Convegni straordinari,devo dire,che senza attesa di autorità cominciavano a spaccaminuto,e a cui noi soci, relatori o no, partecipavamo ognuno a proprie spese. Solo gli invitati fruivano dell'ospitalità."

 

 

 

 (dal sito web del Teatro India – Teatro di Roma)

Ho conosciuto Leonardo Sciascia in un’età nella quale certi incontri si rivelano decisivi e possono celare, nascosto come un tesoro, il messaggio di cui eravamo, senza saperlo, in attesa. Per me, Leonardo è stato messaggero del senso più alto del vivere e del creare, latore di una missiva essenziale, del piacere della libertà.
Lo ricordo mite e intransigente, misterioso e solido nelle sue ragioni, geniale nei suoi rovelli e implacabile nella ricerca di una possibile verità.
La sua voce – che nella vita lasciava fisicamente risuonare il senso vertiginoso del dubbio – mi manca. Credo che manchi a molti. Gli scrittori, i poeti hanno questo potere. Di lasciarci – quando non sono più tra noi – nel rimpianto di ciò che avrebbero detto, orfani della loro intelligenza, della loro eresia, della loro testimonianza. Rimpianto mitigato dalla grandezza delle loro opere.